le cronache della locanda dell'oca selvaggia

L'incontro

Osservavo con curiosità mista a un certo timore il nano che ripuliva la sua ascia dopo averla abbattuta mortalmente su quella specie di millepiedi nero che ci si era parato davanti. A onor del vero, già la freccia scagliata dall'arco lungo dell'altro guerriero aveva fatto un bel lavoro, ma il nano lo aveva terminato brillantemente, senza nemmeno scomporsi tanto. E ora si lisciava i suoi baffi, soddisfatto di aver dimostrato a tutti la sua potenza. E non riuscivo a ricordarmi il suo nome. In realtà non ricordavo bene nemmeno gli altri cinque, come loro probabilmente non rammentavano il mio, forse non si rendevano nemmeno conto della mia presenza. Il che -detto per inciso- per un ladro è il massimo cui possa aspirare. Io ero rimasto a cavallo al momento dell'incontro con il vermone e così avevano fatto quell'altro pelato, un chierico o un mago, per me sono la stessa cosa, e il ranger, l'unico che mi sembrasse onesto, e ve lo dice uno che se ne intende....Tre dei quattro guerrieri erano smontati, pronti a menare le mani. Che prevedibilità! Disprezzavo profondamente quel modo di agire che pure tornava utile in certe situazioni. Eravamo partiti quella mattina da Soglia, sette illustri sconosciuti, accomunati solo dal desiderio di denaro, alla ricerca di un ragazzo scomparso da un villaggio vicino, il figlio di un fabbro mezzorco ci aveva detto l'oste dell'Oca Selvaggia, un suo parente, di nome Merck. Non che Merugo, l'oste, ci avesse fatto fare grandi sogni d'oro, tuttavia era sempre meglio che stare ad aspettare il ritorno del gruppo che, secondo quanto ci aveva riferito Merk Croword, il messo di Brenwood, avremmo dovuto sostituire nella ricerca di un non precisato manufatto. Questi cinque erano partiti circa un mese prima e da allora non si erano più avute notizie, e prima di loro un altro gruppo era scomparso senza lasciare tracce. Tutto questo, nella lettera con cui Brenwood Raggart, tre giorni prima, mi chiedeva di recarmi a Soglia per una missione “molto redditizia”, non c'era scritto. E apparentemente non ne erano al corrente nemmeno gli altri. Il giorno prima alla Locanda, per questa omissione il messo di Brenwood aveva rischiato di farsi staccare la testa da quello grosso e scemo. Tronar di nome, come rintronato pensavo. Un armadio a quattro ante con il cervello delle dimensioni di un portacalzini. Da quando era arrivato alla Locanda non aveva fatto altro che sbattere il pugno sul bancone pretendendo birra e donne. Se per la prima non c'erano problemi, per le seconde, beh...Soglia non è propriamente un'alcova. Comunque, questo guerriero non mi sembrava la massima espressione della sua categoria, anche se era stato bravo a mantenere il controllo del cavallo imbizzarrito davanti al vermone. Ne avevo incontrati altri così, molto bravi a fare casino ma i primi a beccarsi una randellata da dietro da tipi come me. Mi ricordava molto quei lottatori di ska che per le troppe botte diventano stupidi. L'altro guerriero mi sembrava proveniente dalla terre del Sud. Si chiamava Juz Hamqualcosa, un nome esotico. Più accorto, era rimasto sul cavallo al momento dell'attacco, osservando con l'unico occhio sano l'intera scena. Alla Locanda avevo tentato di parlarci ma con poco successo. Si era limitato a rivolgermi un sogghigno malevolo con quella cicatrice che attraversava tutta la sua guancia sinistra. Poi c'era l'altro umano, quello con l'arco lungo, un po' imprudente. Aveva tirato mentre il millepiedi stava per attaccare rischiando di colpire Tronar. Inesperto, ecco il termine giusto. E poi il nano. Io avevo un'antipatia viscerale per i nani, e non riuscivo a empatizzare in alcun modo con essi. Eppure era l'altro non umano, insieme a me che ero un mezzelfo. Ah, già non ve l'ho detto, mi chiamo Egla Erin Duin, sono un mezzelfo allevato da due donne in un villaggio del lontano Ovest, ladro di professione, cronista per passione e innamorato perdutamente di una donna che non vedo da vent'anni o poco meno. Ma questa, come diceva qualcuno, è un'altra storia...Il nano dunque, tronfio con la sua ascia ancora gocciolante liquido nero. Al momento del nostro incontro alla Locanda, era sempre rimasto in disparte vicino alla porta. Malfidato come me, che mi ero seduto in fondo al locale per uscirne solo per rubare uno dei cavalli della stalla vicina. Un gesto inutile, dato che poi Brenwood ce li aveva prestati per quest'altra ridicola avventura. Ma, sapete com'è, ho cominciato a fare il ladro per necessità e poi ci ho preso gusto...Completavano la nostra allegra brigata il mago, o chierico e il ranger. Il volto del primo era intelligente e docilmente impenetrabile, due caratteristiche che ne tradivano la pericolosità. Quanto al ranger, sembrava fosse capitato tra noi quasi per caso, con quella sua aria spaesata, ma capace di prendersi maledettamente sul serio con quel suo nomignolo, Shadow Wolf. Avete un'idea del perché sette personaggi così diversi tra loro si fossero ritrovati in quella Locanda in un paese chiamato la Soglia, in mezzo alle montagne boscose del Granducato di Karameikos? L'oro, solo quello, anche se alcuni, come il chierico, parlava di nobili intenti, tanto da essere il promotore del salvataggio del figlio del mezzorco. O la gloria, come diceva il rosso -e rozzo- Tronar? Macché, non prendiamoci in giro. Al fondo ciascuno di noi era un poveraccio che sbarcava il lunario come poteva, sempre alla caccia della “svolta della vita”. Nell'attesa ci si arrangiava come si poteva e il denaro diventava l'unico strumento per poter accampare il diritto di esistere e per godersi quel mezzo minuto di celebrità e quel tanto di carne femminile mercenaria quanta gliene permetteva l'ingaggio. Sempre che un colpo d'ascia o una freccia ben diretta non mettesse fine a tutto. Questo nascondeva la sbruffoneria dei guerrieri e questo -nel mio intimo lo sapevo- era ciò che veniva celato dalla mia presunzione, giustificata a me stesso dalle ascendenze elfiche. Non scalfita dal fatto che in realtà tanto umani che elfi mi disprezzavano, anzi si accresceva la rabbia sociale di essere un orfano. Solo l'amore e la rettitudine della mia genitrice adottiva Liva, mi aveva contenuto...Perdonatemi, sto divagando...E dunque in sette eravamo in quella Locanda quando era arrivato il messo di Brenwood a spiegarci i motivi delle nostre convocazioni, tutte individuali. Nessuno di noi conosceva gli altri e io sicuramente non avevo alcuna intenzione di unirmi a una banda tanto scalcinata. Avevo deciso, data anche la vaghezza delle spiegazioni del messaggero, di unirmi alla Fogor, la Gilda dei ladri di Soglia, o di andare in cerca del clan elfico dei Callarii, per saperne di più sulle mie origini. Ma il chierico mi aveva fatto cambiare idea. In fondo dovevo alle sue parole, alla sua ferma determinazione di aiutare il fabbro dell'altro villaggio, se ora stavo osservando il nano che ripuliva la sua ascia, mentre il sole del tardo mattino cominciava a riscaldare le mie spalle.

Previously on Wild Goose Inn Chronicles
Sette avventurieri si ritrovano in una locanda, chiamata dell'Oca Selvaggia, nella città di Soglia, agli estremi confini del Granducato di Karameikos: un nano guerriero, un mezzelfo ladro e cinque umani, di cui tre guerrieri, un ranger e un mago chierico. Sono stati convocati individualmente da un signorotto locale, tale Brenwood, per ritrovare un antico manufatto in cambio di una non meglio precisata ricompensa.Nel frattempo, mentre sono alla Locanda discutendo con il messo di Brenwood, l'oste, Merugo, chiede loro aiuto per ritrovare il figlio di un suo caro amico, il fabbro di un vicino villaggio di nome Cormhorpe...

Verso Cormhorpe
Presentazioni
Ci rimettemmo in sella in direzione di Cormhorpe. Stavolta il ranger si era messo in testa al nostro piccolo corteo, per individuare la strada. Io ero in mezzo, accanto a Juza Hamanita, sempre taciturno. Erano passate circa due ore dalla ripresa della cavalcata che incrociammo un bivio. Ci fermammo e io mi accorsi a un tratto che Juz non era più accanto a me. Fermai il cavallo mentre gli altri proseguivano verso il bivio, in cerca dell'indicazione per il villaggio. Mi girai e vidi trenta metri più dietro il guerriero che si inoltrava con fare sospetto nel bosco che costeggiava il sentiero. . Eppure non c'era nulla che facesse pensare a un qualche pericolo. Era il primo pomeriggio, il sole era alto in cielo e scaldava piacevolmente le nostre ossa e, soprattutto, non c'era l'ombra di una minaccia, sia all'orecchio che agli occhi. Attesi qualche istante per vedere se riemergeva dall'anfratto boscoso, poi mi riavvicinai al resto del gruppo  a cui non feci parola della scomparsa di Juza. In fondo quasi non ci conoscevamo di nome, figurarsi se potevano essere affari miei! Decisi comunque che era il momento di rompere gli indugi. Prima di ripartire verso destra, secondo le indicazioni del ranger, mi rivolsi al chierico, spostando per un momento lo sguardo anche sugli altri. “Forse sarebbe bene fare le presentazioni ufficiali, dato che ho deciso di seguirti”. Gli occhi dell'altro si fissarono sui miei, sembrava quasi che volesse scavarmi dentro: neri come la pece, andavano dritti al cuore di chi riusciva a sostenerli. Erano calmi e distanti, mi facevano pensare a un'oda generata da un sasso generato da uno stagno, prima piccola poi sempre più larga fino a  lambire la riva per saggiarne la consistenza. E io in quel momento ero la riva.  “Mi chiamo Kiran e sono un chierico” la voce profonda mi arrivò dopo un tempo che mi sembrò eterno. “E tu, mezzelfo?”, non l'aveva detto con il consueto sprezzo, ma come una constatazione. Dietro di me sentivo arrivare un cavallo, era Juza. “Bene, ora che ci siamo proprio tutti... mi chiamo Egla Erin Duin, Erin per gli amici, quando ne ho”. “Io sono Tronar il Rosso e non ho amici”, tuonò l'armadio a quattro ante, mentre il nano si limitò a alzare le spalle e ad aggiungere: “il mio nome è Grimfast, per quello che serve”. Tutti rivolgemmo lo sguardo verso il guerriero con l'arco lungo. “Mi chiamo Uallax e vengo dall'Ovest”. Non riuscii a trattenere il riso. “Sul serio? Ti chiami Uallax?” Non lo temevo e l'uomo lo percepì per cui non replicò nulla. “Tocca a voi”, disse Kiran, indicando prima il ranger e poi Juza. “Preferisco farmi chiamare Shadow Wolf, come dalle mie parti. Il mio vero nome non è molto importante per voi”. E così forse l'onesto ranger aveva qualche scheletro nell'armadio, pensai tra me. Osservai il guerriero con la benda mentre si presentava per riuscire a scorgere qualche indizio della sua piccola fuga.  Quando sentì il suo nome Tronar esclamò con veemenza: “Juza Hamanita! Sei proprio tu? Ti credevo morto al Fosso delle Gatte Selvatiche...” e bestemmiò forte per poi aggiungere “abbiamo una leggenda con noi...” “o semplicemente un morto che cammina” disse il nano con voce sogghigante. Juza girò lo sguardo senza guardare nessuno, sputò per terre e si avviò al trotto.
Un rapimento, qualche racconto e molte leggende
Era metà pomeriggio quando finalmente arrivammo  al villaggio. Lasciammo i cavalli alla stalla e andammo alla Locanda vicina, intitolata al Cavallo Zoppo. Lì chiedemmo all'oste del fabbro, Bercke, e di suo figlio. Questi capì immediatamente che eravamo venuti per aiutarlo e mandò il garzone a chiamarlo. Mentre Tronar era alla sua terza birra e io tentavo di convincere qualcuno a  giocare a dadi screziati  arrivò il mezzorco. Se anche fosse stato intero in quel momento non avrebbe fatto paura a nessuno. Il viso sgraziato era ancora più terreo del normale, i suoi occhi si  muovevano in qua e in là nervosamente, come se cercasse qualcuno. “Voi dovete essere i valorosi avventurieri che mi aiuteranno a ritrovare mio figlio”, disse dopo aver volto lo sguardo su tutti noi. “Avventurieri dici?” L'apostrofò immediatamente Grimfast. Cominciavo a sospettare che dietro l'aggressività del nano si nascondesse la paura costante di essere attaccato, anche quando non ce ne era motivo. “Sul nostro valore solo gli dei si possono pronunciare -intervenne Kiran, serafico. Intanto raccontaci qualcosa in più di questa sparizione”. Era accaduto tre giorni prima, di notte. Il bambino perche quello scoprimmo essere, un infante di pochi mesi e non un adolescente- era stato portato via dal suo letto durante la notte senza alcun rumore. Una volta terminato il breve resoconto, il chierico disse: “è bene che ci dividiamo, io e Shadow Wolf andremo alla casa del fabbro per controllare eventuali tracce, voi dividetevi e interrogate la gente del posto”. Ormai Kiran aveva assunto la direzione delle operazioni. Mentre stavano uscendo una voce gracchiante, accompagnata dalla musica biascicante di un'arpa, si interruppe contro la corporatura snella del ranger. Guardammo meglio e ne scorgemmo l'artefice, un ometto vestito in modo improbabile che squadrò Shadow Wolf attraverso le due fessure che erano i suoi occhi. “Ehi!” Voleva essere indignato, ma risultò solo patetico. “Ecco il mio uomo!! Esclamai. Avevo riconosciuto in lui un bardo, sbronzo per di più, il tipo perfetto a cui carpire informazioni prima che svenisse. “Andate, qui rimango io”, aggiunsi. “Rimango anche io con il mio amico mezzelfo”, disse Jux. Mi piaceva questa cosa, non essendo un guerriero sentivo sempre il bisogno di qualcuno che mi guardasse le spalle in situazioni come quelle. Jux era l'ideale: forte quel tanto che bastava, di poche parole, attaccato alla borsa. Mentre gli altri uscivano mi accostai al bardo e lo accompagnai delicatamente a un tavolo. “Era una bellissima canzone quella che stavi cantando, amico mio”, gli dissi. “Eh, scì, è la shtristshe schtoria di una...” Lo interruppi prima che attaccasse il suo delirio. “Aspetta, c'è tempo per questo. Prima dimmi il tuo nome”.  Mentre parlavo feci un cenno all'oste perchè portasse da bere. L'ometto mi guardava in modo ebete, spinsi il boccale di birra verso di lui mentre Jux afferrava il secondo e io accostavo le labbra al mio senza bere.  Dopo aver dato una gran sorsata, per lo più finita sulla sua casacca impolverata e sporca di vomito, il bardo finalmente sembrò riprendere vita. “Mi chiamo Daniel e sciono conosciuto in tutto il reame”.  Diedi una rapida occhiata a Jux, accanto a  me, e rivolsi di nuovo il mio sguardo sull’uomo ubriaco. “Bene Daniel, il mio nome è Egla e questo è Jux. Ora che ci siamo presentati, raccontaci qualcosa di questo posto”. Gli occhi socchiusi, emise un fischio che poteva essere un tentativo di risata o semplicemente un rantolo. Jux mi diede di gomito come per dire “stiamo perdendo tempo”. Gli feci cenno di aspettare e finalmente Daniel riprese a parlare. “Come…come…come hai detto…il tuo nome?” “Sono Egla,e questo è Jux. Hai sentito del rapimento del bambino?”. “Brutta schhtoria”. Ero preoccupato, perché il suo biascichio stava aumentando e dovevo essere rapido. “Già, bruttissima. Un bambino… come si fa a rapire un bambino?” “Gli orchi e i loro servi, quegli esseri fetenti alti coshì!” Urlò il bardo mettendo la mano all’altezza del fianco: “Orchi..e goblin, dici?” Incalzai. “Lo schanno tutti, ma nessuno fa…” sembrò dimenticarsi il resto. “Qui attorno ci sono orchi e goblin, dunque”. Ormai dovevo procedere senza esitazioni. “Dove si trovano?”, chiesi mentre facevo l’atto di alzare il boccale e bere alla sua salute. Il bardo si riscosse, alzò il boccale a sua volta puntandolo in alto, verso l’esterno della locanda. Metà della birra si versò sul tavolo e il resto andò a finire in faccia a Daniel che spalancò la bocca per non farsela sfuggire. La scena era piuttosto comica, ma ero più interessato alla direzione verso cui puntava il boccale, il nord est.  “Che cosa c’è laggiù?”. “Non sciapete proprio niente voi stranieri. C’è la miniera!”  guardai Jux interrogativamente mentre Daniel riprendeva: “eravamo ricchi qui, sciapete, taaanto ricchi, quando scavavamo nelle miniere la pietra roscia…ma poi…” “Poi?” dicemmo io e il guerriero insieme. “Alla numero 9, o era diciannove?, arrivò qualcosa e non fu più possscibile sciavare…” “gli orchi? I goblin?” Il bardo fece cenno di no con la testa. “Era qualcoscia che li comandava” e si accasciò sul tavolo, un filo di bava che gli colava dal’angolo della bocca. Lo scambio di idee era decisamente finito. “che ne pensi?, chiesi al mio compagno. “Jux si grattò un momento la testa e rimise a posto al benda sull’occhio. “Deliri da ubriaco” sentenziò. “Non credo”. In effetti il racconto di Daniel trovò poco dopo al conferma da quanto ci dissero Kiran e gli altri. Esisteva una caverna numero 9 a cui non si avvicinava più nessuno. Che nella zona ci fossero dei goblin, aggiunse il chierico, era avvalorato da fatto che la stanza del bambino era stata abilmente scassinata. Gli orchi avrebbero demolito tutto senza tanti complimenti. “Comunque –ci disse- mi è stato detto che c’è un uomo, una specie di tuttofare, che di notte gira a controllare i lumi. Forse ha visto qualcosa in più. Lo interrogherò. Sappiate comunque –aggiunse in tono grave- che mi sono gatto un’idea: ci sono degli orchi con alcuni goblin che li servono, ma ci deve essere qualcuno che li guida. Forse uno sciamano che vuole il bambino per qualche sacrificio. Non so contro chi ci potremmo trovare di fronte”. Un brivido percorse la mia schiena. Il mio rapporto con religione era già difficile, quello con la magia,ancora peggio, se era possibile. Mi faceva sempre venire in mente le storie che mi raccontava Liva, o forse erano leggende, su un eroe vissuto in un’epoca antichissima, chiamata hyboriana. Un uomo di nome Conar o Coan, che prima del suo dio, Crom, adorava l’acciaio della sua spada.  Kiran tornò dopo poco tempo. “Spazzola –era il nome del tuttofare- mi ha detto di avere visto delle ombre la notte del rapimento, esseri piccoli, goblin quindi, che andavano verso sud”. “Ma è la direzione opposta alla miniera 9 –intervenne Grimfast.  “E allora? Sappiamo molto poco di tutto, può anche essere possibile che la miniera 9 non c’entri nulla con questa storia e sia rimasta nell’immaginario del posto”: Le sue parole troncarono sul nascere qualsiasi altra obiezione. “Mettiamoci in marcia –esordì Uallax, subito seguito da Tronar. “Sì, muoviamoci subito”. Shadow Wolf guardò fuori dalla finestra della locanda. “Si sta mettendo al brutto”, come accadeva spesso nelle zone di montagna. “Ed è anche tardi –aggiunse Grimfast. “Dove è il vostro spirito di avventura?”, cercò di ironizzare il guerriero con l’arco lungo. Lo lasciammo nella sala da pranzo insieme a Tronar  senza una risposta, mentre ci avviavamo alle stanze che ci eravamo fatti assegnare. “Domani si parte all’alba” fu il congedo di Kiran.
Tanto rumore per una donna
Mi ero buttato sulla branda  da poco più di un’ora quando sentii un tono concitato provenire dalla piazza. Tra le voci che si incrociavano cercando di dominare le altre distinsi subito quella di Tronar e senza bisogno di andare ala finestra capii immediatamente che si era messo in qualche guaio. Tipico. Mi alzai con calma e mi divertii a osservare la scena che si stava svolgendo di sotto.  Il gigantesco guerriero era circondato da alcuni villici a cui se ne stavano aggiungendo altri rapidamente, Da una parte, una donna piangeva, confortata da un’altra che la cingeva per le spalle. Non mi ci volle molto per capire che cosa era accaduto. Quell’idiota aveva molestato una moglie o una figlia. Mi rimisi al volo gli stivali: se la stupidità di Tronar arrivava al punto di ferire qualcuno ce ne saremmo dovuti andare di corsa. Jux, da un lato, si era avvicinato un po’, per poi tornare alla locanda. Saggio uomo, avevo scelto bene. Fortunatamente non accade nulla, i villici diedero qualche spintone al nostro gigante che si dimostrò prudente, limitandosi a difendersi e a offrire delle scuse che alla fine furono accettate.
Le miniere di pietra rosa
Partimmo all’alba, come stabilito, nella direzione indicata da Spazzola. Il tempo era di nuovo bello e cavalcammo al trotto senza troppi incidenti fino alla zona delle miniere. Le cavità ci osservavano con un ghigno sinistro, invitandoci a entrare a nostro rischio e pericolo. Il paesaggio era mutato radicalmente. Appena un centinaio di metri prima c’erano boschi e prati, qui il terreno era brullo, come arso dal tempo. Ci dirigemmo verso la prima e cominciammo a entrare in fila indiana, Shadow Wolf per primo, poi io e dietro di me Kiran che nel frattempo aveva provveduto alla luce con il suo bastone. Avevamo percorso qualche metro che ci trovammo a un bivio: da una parte c’era una porta, dall’altra la galleria continuava e si immergeva nell’oscurità più profonda.. Su un lato giaceva un carrello per il trasporto dei minerali. Ancora oggi mi stupisco di quando la gente fa delle cose stupide, eppure ne ho viste. Anche in quell’occasione Tronar riuscì a stupirmi inventandosi l’ingegnosa idea di tirare su il carrello e di coprire il buco della galleria e coinvolgendo Uallax in questa sua brillante operazione. Il fracasso che ne seguì, in quel silenzio sepolcrale, mi fece rabbrividire. “Ma la nonna non ti ha insegnato che quando si entra in casa d’altri su bussa delicatamente?” Gli dissi. Non aspettai nemmeno che mi rispondesse, “non ho mai avuto una nonna!”, e mi diressi verso la porta a destra del bivio. “Bene amico –mi rivolsi a Shadow Wolf- ora tocca a noi due. Faremo in questo modo. Io mi studio per un po’ la porta, trovo il modo di aprirla senza pericoli e poi entri tu con il tuo arco e ti butti di lato. Kiran, da dietro, ci farà luce”. Il ranger incoccò la freccia e l’operazione sarebbe andata benissimo se non fosse stato per l’ultima parte. La porta, non presentava minacce di sorta, la spinsi, rimasi fermo mentre Shadow Wolf mi superava. Esitò un attimo di troppo per abituare gli occhi a vedere quello che c’era, due ammassi indistinti, o uno solo, era difficile capirlo. Da lì partirono tre oggetti e uno di essi colpì in pieno il ranger. Finalmente si scostò dall’apertura lasciando cadere l’arco e afferrando fulmineamente la spada. Bene, realizzai in pochi istanti, non è grave. Anche io riuscii finalmente a distinguere qualche cosa, tre paia di occhietti gialli ci scrutavano da dietro dei tavoli rovesciati mentre si preparavano a ricaricare gli archi. Il ranger fu più svelto stavolta: superò d’un balzo la breve distanza e ne abbattè immediatamente uno. Gli altri due furono lesti a cambiare arma, prendendo le loro corte daghe con cui cercarono di assalire il loro avversario, alto tre volte di più. In breve si scatenò un furioso corpo a corpo a cui era difficile prendere parte a causa del ridotto passaggio. Il nano si aprì un varco e arrivò a dar man forte a Shadow Wolf. Vidi la sua ascia abbattersi con violenza su uno di quegli esseri tagliandolo praticamente in due. Mi ricordava il personaggio di un romanzo popolare, anch’esso nano, tale Tyrion Lannister, pronto a intervenire per dare il colpo di grazia. Qualcuno diceva che era un personaggio reale, mah…Nel frattempo, dietro di me, sentii, un altro urlo di dolore, era di Tronar, poi un ruggito provenire dalla stessa bocca e poi più nulla. I tre goblin della stanza in cui eravamo entrati giacevano a terra sventrati. Tronar, rimasto vicino al carrello insieme a Uallax e a Jux, si reggeva un braccio sanguinante. Il guerriero con la benda sull’occhio stava ripulendo la sua spada dal sangue verdastro di un quarto mostriciattolo. Kiran. in mezzo ai due gruppetti, disse: “Riorganizziamoci”.
 

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